Preistoria e storia

Una storia di uomini e orsi

Interno delle grotte | A. Rivelli

Arrivano gli orsi!

Fin dall'Ottocento il complesso ipogeo è stato studiato per i ricchi giacimenti di fossili, in particolare di ossa dell’orso delle caverne (Ursus spelaeus), una specie di orso estintasi nel corso dell’ultima glaciazione, che ha abitato la Valle Gesso e numerose altre cavità del Cuneese (grotta del Caudano - Val Maudagna -, grotta di Bossea - Val Corsaglia -, cavità delle aree carsiche di Val Casotto, di Valdinferno-Val Tanaro e di Val Pennavaire) tra i 66.000 e i 30.000 mila anni fa. Gli orsi delle caverne erano animali di notevoli dimensioni, di circa un terzo più grandi rispetto all'attuale orso bruno: gli esemplari più grandi potevano raggiungere i tre metri e mezzo dritti sulle zampe posteriori, per un’altezza alla spalla di circa un metro e mezzo. Si stima che il loro peso potesse raggiungere la tonnellata. Questi numeri collocano l’orso speleo tra i più grandi mammiferi carnivori mai comparsi sulla Terra. I resti di due orsi delle caverne di Roaschia sono esposti nei musei di scienze naturali di Milano e di Londra. Essi si riparavano nelle grotte, solitamente nelle sale più interne, durante il letargo invernale o per partorire i cuccioli. Dalla morfologia della corona dentaria e dall'usura dei denti degli orsi è possibile trarre preziose informazioni sulla loro alimentazione: l’analisi di queste caratteristiche ha indotto gli studiosi a ipotizzare che l’Ursus spelaeus fosse onnivoro e forse più vegetariano dello stesso orso bruno attuale. L’estinzione di questa specie sembra potersi connettere ai drastici cambiamenti del clima e alle conseguenti modificazioni dell’ambiente che si verificarono alla fine del Würm, l’ultima grande espansione glaciale, intorno ai 15.000 anni fa: le ossa di molti animali si sono depositate in gran numero sul fondo delle Grotte del Bandito. Durante le piene del Gesso le acque invadevano i cunicoli e le sale sotterranee della grotta, e i detriti da esse trasportati hanno ricoperto gli scheletri di orso permettendone la fossilizzazione.

Non solo orsi...

Le Grotte del Bandito non hanno offerto riparo solamente ai grandi plantigradi. In epoca protostorica esse sono state oggetto di frequentazione umana, come testimonia il rinvenimento casuale, nel 1967, nella grotta occidentale, di un coltellino in bronzo, di probabile produzione villanoviana bolognese e databile all’VIII secolo a.C. Si tratta di un reperto molto importante, esposto nella sezione archeologica del Museo di Valdieri, perché costituisce un prezioso indizio dello sviluppo di contatti commerciali tra l’area emiliano-romagnola e i valichi delle Alpi Occidentali, attraverso la via del Tanaro. I segni e le firme che si trovano sulle superfici delle grotte attestano che il complesso ipogeo non è stato abbandonato neanche in epoca storica, ma che anzi esso è stato meta e rifugio, in momenti diversi, per una variegata umanità: esploratori, speleologi, banditi, innamorati e partigiani hanno, infatti, voluto lasciare traccia di sé e del proprio passaggio sulle pareti di questi antri. Un interessante approfondimento è costituito dallo studio: La Grotta del Bandito di Roaschia. Nuovi dati sulla frequentazione di età protostorica di Deneb Cesana, Luisa Ferrero e Stefania Padovan

Scavi per arricchirsi e scavi per conoscere

Alla fine del XIX secolo alcuni rami della grotta furono sfruttati per la ricerca dell’oro, e nella frenesia degli scavi molti fossili andarono distrutti. Per la scarsa resa e le difficoltà di setacciamento la corsa all’oro si spense ben presto. Nei primi del Novecento, come testimoniano gli scritti raccolti presso il Museo Civico di Cuneo, le molte ossa di orso rinvenute nei dintorni della grotta venivano utilizzate dai bambini di Roaschia come svago, per costruire “trenini” di osso e altri giocattoli! Sempre durante il Novecento, molti scavi portarono alla luce, oltre a resti di orso, anche resti di vari altri animali, alcuni dei quali riconducibili a frequentazioni della grotta da parte di uomini preistorici. In anni recenti, a seguito degli studi di Livio Mano e della ricerca condotta tra il 2001 e il 2002 dall’équipe del professor Giulio Pavia dell’Università di Torino, sono state ricavate notizie più approfondite sugli orsi delle caverne. Gli ultimi studi di recente condotti dalla dottoressa Marta Zunino e dal prof. Giulio Pavia hanno infine consentito di avere un quadro completo degli abitanti preistorici delle grotte. Scarica lo studio: Il deposito a Ursus speleaus della Grotta del bandito: considerazioni stratigrafiche, tassonomiche e biocronologiche del prof. Luigi Pavia e della dott.ssa Marta Zunino pubblicato sul Rendiconto della Società paleontologica italiana.//